“Reminisce!”
Le Grand Verre
Matteo Bologna, Marco Pho Grassi, Jaybo Monk

Vernissage giovedì 12 Novembre h 18.30
Via Cadolini, 29 Milano

Dal 12 Novembre fino al 18 Dicembre 2015

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Reminisce! Un racconto – Elisabetta Longari
Reminisce! A tale – Elisabetta Longari

Un racconto
di Elisabetta Longari

Premessa

Com’è noto, Le Grand Verre è il titolo alternativo con cui si nomina correntemente una delle opere cardinali di Marcel Duchamp: La Mariée mise a Nu par ses célibataires, même (1915-23). Polimaterica, composta di due pannelli di vetro dentro ai quali galleggiano elementi di diversa natura quali fili e lamine di piombo, vernici e pittura ad olio, è un campo magnetico di cui il caso ha decretato il compimento; questa complessa macchina per lo sguardo era rimasta infatti, secondo l’artista, in uno stato di incompiutezza nel suo studio per un certo periodo di tempo e solo con il verificarsi di un incidente fortuito come la rottura del vetro, Duchamp finalmente si è risolto a dichiarala terminata. L’interpretazione della scena con forme meccanomorfe in sospensione data da Arturo Schwarz è decisamente orientata in chiave alchemica.
Le Grand Verre costituisce anche il paesaggio misterioso che figura sepolto da uno strato di polvere nell’opera fotografica Élevage de poussière (1920), riconosciuta tanto da Man Ray quanto da Duchamp come opera di ciascuno e, al tempo stesso, a due mani, tanto è vero che si conoscono esemplari firmati da entrambi gli artisti come da soltanto uno di loro.
Teniamo a mente questi aspetti: la trasmutazione della materia, la casualità, l’indifferenza verso l’attribuzione e l’autorialità del singolo individuo.

Cronistoria

Le Grand Verre è anche il nome di un collettivo che, nato dalla collaborazione di Marco Grassi alias Pho con il fotografo e videomaker Matteo Bologna, si presenta per la prima volta al pubblico nel 2014 a Berlino alla Cicle Culture Gallery in occasione della mostra d’inaugurazione del nuovo spazio. Il collettivo esponeva due grandi rayografie e Composizione 0 del 2013, una sequenza di 40 diapositive elaborate attraverso l’utilizzo di materiali differenti che, una volta proiettati, svelano il loro microcosmo nascosto.
Il 30 Maggio 2015 rappresenta un ulteriore tappa del percorso del collettivo a cui nel fratempo si è unito l’artista berlinese Jaybo Monk; lo studio di Marco Grassi in via Tertulliano 70 si apre al pubblico trasformandosi in una grande camera oscura dove gli attrezzi, i materiali e le strumentazioni artigianali dialogavano con rayografie su carta, proiezioni di diapositive, installazioni di oggetti trovati e riassemblati in un gioco di chiaro sapore neodadaista. Accanto a Composizione 0 e a diverse opere che documentano il procedimento tecnico attraverso vari stati delle rayografie, Jaybo esponeva i suoi assemblage, nati dall’utilizzo e dalla combinazione di oggetti trovati, tra cui figurano con insistenza nastri di magnetofoni e fotografie, lenti ottiche e frammenti di tecnologie obsolete, per lo più strumenti atti alla visione e supporti legati alla duplicazione del suono e dell’immagine.
Per via della penombra in cui era immerso l’ambiente, al visitatore sembrava di entrare nel backstage dell’atto creativo, di introdursi nel meccanismo oscuro di formazione delle immagini.
Ma facciamo un passo indietro e vediamo come e quando si è venuta a costituire questa squadra di lavoro.
Matteo e Marco, che si sono conosciuti al Liceo Artistico Santa Marta nei primi anni novanta e hanno condiviso anche l’esperienza dei graffiti in strada con una delle crew storiche milanesi (16K), sono approdati a una collaborazione più assidua quando Matteo è tornato dal Brasile nel 2011. Ciò è avvenuto sulla base di un interesse comune per la provocazione dei materiali e per la contaminazione degli ambiti espressivi. Marco, diplomatosi nel 2001 in pittura all’Accademia di Brera con Luciano Fabro, aveva nel frattempo sviluppato un linguaggio pittorico complesso, basato su una gestualità astratta e piena che si avvaleva anche dell’aggregazione di diversi materiali trovati per strada, mentre Matteo, che si era diplomato alla Civica Scuola di Cinema di Milano nel 1999, forzava i limiti espressivi dei linguaggi audiovisivi con diverse sperimentazioni, attento agli sviluppi introdotti dalla casualità.
A loro si è unito in un secondo tempo Jaybo Monk, conosciuto a Berlino, e tale avvicinamento si è svolto nel segno della condivisione di uno spirito di ricerca volto all’estrazione della meraviglia dagli aspetti più prosaici del quotidiano e che si nutre frequentemente dell’energia dell’errore.
Il 12 Novembre 2015, sempre nello studio di via Tertulliano e anche nella adiacente Galleria Avantgarden, Marco e Jaybo, senza Matteo che nel frattempo è mancato, dedicano all’amico scomparso un secondo tempo espositivo comune, in cui vengono presentati lavori che avevano in gestazione assieme e/o singolarmente.
Matteo ha contribuito inconsapevolmente alla realizzazione di un pezzo: Stop Bath: una vasca di fissaggio che lui avrebbe dovuto, d’accordo con Marco, svuotare dall’acido e pulire. Il suo gesto mancato ha prodotto una reazione chimica che ha dato vita a una geografia molto interessante, a un cielo ricco di galassie formate da cristalli salini. Fatta di affioramenti ed effiorescenze, la vasca è un’opera concettualmente vicina alla serie Breeding of Rust in cui Marco ha provocato su rayografie e immagini trovate una crescita virale di ruggine.
Jaybo, oltre ai suoi piccoli totem, espone una serie di fotografie recuperate, lacerate, stracciate e ricucite in modo irregolare in prossimità della figura umana che, a causa di questo trattamento, acquisisce un carattere mostruoso inquietante e instabile, perfino doloroso, simile a quello presente in uguale misura in qualsiasi variante di La Poupée di Hans Bellmer.
Accanto alla presentazione di alcune opere del nucleo storico del collettivo Le Grand Verre, questa occasione coagula anche gli interventi di altri amici con cui Matteo ha collaborato: Alberto Caffarelli del collettivo Alterazioni Video, che espone tra l’altro la riedizione di un suo intervento urbano che consisteva nell’affissione di poster con un ritratto di Matteo (Hola, mi nombre es Bolo , 2003); mentre il regista Stefano Obino si è appropriato di alcune sperimentazioni materiche che Matteo aveva realizzato nei primi anni novanta inserendo all’interno dei telai delle diapositive oggetti concreti con esiti sorprendenti; queste diapositive sono da Stefano utilizzate in un lavoro di reinterpretazione multimediale (REM. dell’uomo-falena e altri mondi, 2015).
Lo studio di via Tertulliano, teatro del nuovo montaggio di materiali, si avvale di un altro fattore che contribuisce ulteriormente a creare una situazione immersiva di grande suggestione: le opere scintillano nell’oscurità di un ambiente anche sonoro creato dal DJ e compositore Nic Sarno apposta per questo momento espositivo.
E la storia continua… anche se nulla resta uguale.

ENGLISH

A tale
Elisabetta Longari

Foreword

Le Grand Verre, notoriously, is the alternate title of one of Marcel Duchamp pivotal works, La Mariée mise a Nu par ses célibataires, même (1915-23). Made of various materials, the work consists of two panes of glass with a series of different elements floating between them: lead wire, lead foil, varnish and oil paint. According to Duchamp, such articulated visual machine, a sort of magnetic field whose completion was determined by chance, lay unfinished in the atelier for a long time, before a fortuitous breakage of the glass lead the artist to declare it completed.
Arturo Schwarz’s interpretation of the scene created by these suspended mechanic figures is heavily based on alchemy.
Le Grand Verre also constitutes the mysterious landscape buried under a layer of dust in a photograph titled Élevage de poussière (1920), acknowledged by Duchamp and Man Ray as the work of each and both of them, so that different versions are signed by either one of the artists, or even both.
These are the element to keep in mind: the mutation of matter, chance, and indifference toward individual authorship.

A Chronology

Le Grand Verre is also the name of a group originating from the collaboration between Marco Grassi, a.k.a. Pho, and photographer/filmmaker Matteo Bologna. The formation debuted in 2014 in Berlin, in the inaugural event of Cicle Culture Gallery; on that occasion, they presented two large  rayographs and Composizione 0 (2013), a sequence of 40 slides made up of several different materials showing their hidden, inner world on the projection screen.
May 30, 2015 marked another important step in the history of the group, augmented in the meantime by the addition of Berlin-based artist Jaybo Monk: Marco Grassi’s atelier in Via Tertulliano, 70 was opened to the public, becoming an enormous darkroom where tools, materials and equipment could interact with rayographs on paper, slide shows, installations made with found and assembled objects, in a game of unmistakable Neo-Dada flavor. Next to Composizione 0 and several works documenting the technical process through different states of the rayographs, Jaybo showed his assemblages, generated by the combinations of found objects, particularly recording tape, photographs, lenses and fragments of obsolete technologies, mostly instruments for visual projection and supports connected to the duplication of sound and image.
Because of the dim light in the room, the viewer had the impression of entering the backstage of creativeness, somehow becoming part of the obscure process of image-making.
However, let us go back and see how and when this team of artists was formed.
Matteo and Marco met in High School, at Liceo Artistico Santa Marta, in the early 1990s; after sharing the experience of graffiti art together with one of Milan’s historic crews (16K), they began a closer collaboration upon Matteo’s return from Brasil in 2011. The driving force of their common research was a shared interest for practices aimed at testing materials and contaminating different media. Marco had graduated in painting from the Brera Academy, where he was mentored by Luciano Fabro; his pictorial language was highly articulated, abstract and gestural, often based on the aggregation of found materials. Matteo, who had graduated from the Civica Scuola di Cinema (School of Filmmaking) in Milan in 1999, worked to test the boundaries of audio-visual languages through various forms of experimentation, often embracing the influence of chance.
Jaybo Monk, who joined the group more recently, had met the two colleagues in Berlin. He shared their drive towards a research of the surprising elements hidden behind the prosaic surface of everyday life, often revealed through the energy released by errors.
From November 12, 2015, Marco and Jaybo will remember Matteo, who has passed away in the meantime, with a second exhibition in the Via Tertulliano atelier and the nearby Galleria Avantgarden, showing works conceived individually or collectively in the last few months.
Matteo contributed inadvertently to one of the pieces, Stop Bath, a basin for fixing baths which he was supposed to clean out. By not completing this task, he produced a chemical reaction resulting in a very interesting geography, a sky filled with salt-crystal galaxies. The basin, enriched by outcroppings and blooming, is ideally close to the Breeding of Rust series by Marco Grassi, a viral growth of rust on rayographs and found images.
Together with his totems, Jaybo will present a series of found photographs, which he tore apart and subsequently sewed back together, leaving an irregular profile around the human subects. As a consequence, these figure acquire an uncanny, destabilizing, horrific, even painful character, similar to that displayed by the many variants of Hans Bellmer’s La Poupée.
Next to the works by the group Le Grand Verre, the exhibit includes those of other artists with whom Matteo collaborated through the years: Alberto Caffarelli of Alterazioni Video, will present the remake of a public art intervention, consisting in a series of posters with Matteo’s portrait (Hola, mi nombre es Bolo, 2003). Filmmaker Stefano Obino reused some of Matteo’s experiments with materials from the early 1990s, based on the insertion of concrete objects into projection screens; Obino turned the slides into a work of multimedia re-interpretation (REM. dell’uomo falena e altri mondi, 2015).
The Via Tertulliano atelier, which housed the editing of such materials, will have one more element contributing to its immersive, evocative ambience: the pieces will glitter in the darkness of an acoustic environment created for the occasion by DJ and composer Nic Sarno.
And the story goes on… although nothing remains the same.

Artworks:

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